Sono fermo in treno da qualche parte tra Parma e Piacenza. È venerdì sera, sono stanco morto, voglio solo arrivare a casa a Milano. Dal finestrino non si vede nulla se non i fari rossi e bianchi che attraversano l’A1.
La voce di Trenitalia ha detto che devono fare un controllo tecnico e che il treno tarderà di mezz’ora. Su un viaggio di un’ora, fa il cinquanta percento in più.
Dai sedili intorno come dal mio si levano sbuffi. Ma amen, con la psicologa si è detto di prendere la vita come viene, lasciarci scorrere addosso quel che capita, accettare.
E allora mi guardo intorno cercando qualcosa che mi distragga. La trovo: sullo schermino ancorato all’imperiale del Frecciarossa ci sono dei tizi che giocano a rugby con la maglia azzurra dell’Italia. Uno esce da una mischia con la palla e si mette a correre. Stacco. Al suo posto appare un treno, un Frecciarossa. Poi i treni diventano tanti, uno accanto all’altro, fermi in una stazione. Altra gente che si mena per una palla, questa volta donne, sempre con la maglia azzurra. L’inquadratura indugia sulla schiena di una di loro perché io abbia il tempo di leggere la scritta FRECCIAROSSA che va da spalla a spalla. Una volta lì ci stava il cognome del giocatore, penso. O magari sta ragazza fa Frecciarossa di cognome ma spero per lei di no e comunque c’è già un altro treno che ha preso il suo posto sullo schermo, quindi direi che non è il nome dei suoi avi ma un modo che Trenitalia ha scelto per farmi sapere che i suoi treni sono veloci e inarrestabili come i giocatori di rugby (della nazionale italiana peraltro, quindi non così inarrestabili, con tutto il bene).
Solo che il treno su cui sto io è fermo e io il biglietto l’ho già pagato, non mi devi convincere di niente: il tuo servizio, volente o nolente, l’ho già comprato. Dovresti limitarti a onorare il contratto invece di sprecare denaro (pubblico peraltro) in pubblicità che uno guarda solo in caso debba ammazzare il tempo quando un tuo treno si ferma per un guasto.
Anzi, potrebbe darmi un certo fastidio sapere che altri treni, nel buio là fuori, stanno correndo a destinazione inarrestabili come rugbisti mentre io sono fermo qui a sprecare vita prigioniero di questo non-luogo in questo non-tempo, col wifi che non-va, le prese di corrente che non-vanno, ma la corrente per farmi vedere dei treni che vanno alla TV va eccome.
Mentre maturo la consapevolezza di essere vittima di una presa per il culo, arriva il capolavoro. Il payoff della pubblicità è: insieme oltre la meta.
Ora, “insieme” te lo concedo per forza di cose, perché scendere dal treno qui mi è impossibile, e anche se potessi mi ritroverei in mezzo ai campi a trenta chilometri da un qualsiasi centro abitato. Ma che cazzo vuol dire “oltre la meta”? Io voglio che il treno mi porti alla meta, non oltre. Se arrivo oltre vuol dire che mi sono addormentato, ho perso la fermata, sono arrivato a Torino Porta Nuova e adesso mi tocca prendere un altro treno per tornare indietro, con ulteriori probabilità di incappare in un altro guasto e in un nuovo ritardo.
Per citare una canzone di Sanremo, grazie ma no, grazie.
Chi invece sa scrivere le pubblicità sono quelli della Micidial di Maccio Capatonda, che hanno prodotto gli spot sanremesi di MV Line, azienda produttrice di tende da sole e zanzariere.
Già l’anno scorso avevano dato alla luce un gioiellino, ma quest’anno si sono superati con tre spot uno più bello dell’altro (tocca le immagini per guardarli).
A proposito di Sanremo, ormai lo sanno pure le prète (termine napoletano che anche i più digiuni di dialetto partenopeo hanno imparato la prima sera del festival): ha vinto Olly con Balorda nostalgia, un pezzo perfetto per Sanremo, orecchiabile, cantato bene e interpretato con trasporto da un ragazzo di ventitré anni che nasconde un forte carisma dietro una faccia da cucciolotto. Bravo.
Il problema di Olly è che adesso lo odiano tutti perché mezza Italia voleva che vincesse Giorgia, le cui doti canore sono indiscutibili ma il pezzo che ha portato non rimarrà alla storia, mentre l’altra metà si divideva tra Volevo essere un duro di Lucio Corsi, menestrello rock con un look da appeso dei tarocchi arrivato secondo con una bella canzone che ha portato un po’ di leggerezza in un festival da prima repubblica, e Brunori Sas, arrivato terzo con L’albero delle noci: una cover di Rimmel di De Gregori con un testo un filo più articolato della media (bastava poco) che gli è valso l’endorsement pubblico di chiunque si definisca intellettuale.
Sotto la doccia, credo canterò le prime due.
Quanto al Fantasanremo di esuli, la classifica finale della Esuleague uscirà solo stasera. Nell’attesa, grazie a tutti quelli che hanno giocato!
Ci sentiamo settimana prossima.
Ciao
Leonardo
Ho adorato la perfetta descrizione del disastroso spot pubblicitario di treni Italia. Diciamo che da un’azienda che offre un servizio di bassa qualità non possiamo aspettarci troppo. Ma dire che Olly canta bene è pura utopia.